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Le venti giornate di Torino

  • Immagine del redattore: Cristian Scalambra
    Cristian Scalambra
  • 9 set 2024
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 26 set 2024







Che strani che siamo noi italiani, non valorizziamo ciò che abbiamo finché uno straniero non lo fa al posto nostro, ne è l’esempio il libro di Giorgio de Maria “Le venti giornate di Torino” Pubblicato la prima volta nel 1977 dalla casa editrice “Il Formichiere” e tradotto recentemente in grande stile dalla casa editrice americana W.W. Norton & Company che in precedenza aveva pubblicato un solo autore italiano, Primo Levi. 


La recensione di Norton non lascia dubbi sull’importanza dell’opera:


“….brillantemente tradotto in inglese per la prima volta da Ramon Glazov, Le venti giornate di Torino stabilisce il posto di De Maria tra i ranghi letterari di Italo Calvino e accanto a maestri classici dell'horror come Edgar Allan Poe e H. P. Lovecraft. Inquietantemente fantasioso, con una prosa viscerale che fa venire i brividi fino al midollo, il romanzo è un'opera magna, inquietantemente chiaroveggente, attesa da tempo ma sempre attuale.”


Ed ecco quindi che nel medesimo anno, il 2017, anche noi ristampiamo grazie a Sperling & Kupfer e Frassinelli lo scritto del visionario Giorgio De Maria. 


Ma vediamo di capirne di più sull’opera, il romanzo è ambientato nella Torino esoterica, degna punta del triangolo della magia bianca che vede gli altri vertici in Lione e Praga ma anche della Torino della magia nera che chiude la forma geometrica con Londra e San Francisco.

Uno dei maggiori simboli della magia bianca in Torino è la Mole Antonelliana, voluta dal massone Antonelli e nata inizialmente come sinagoga. Piazza Statuto invece, con la sua fontana dedicata al traforo del Frejus (realizzata con la stessa roccia degli scavi), viene considerata il centro della magia nera di Torino. La leggenda vuole che l’angelo alato marmoreo posto in cima alla fontana non rappresenti il trionfo della scienza ma bensì Lucifero, l’angelo caduto. 




La statua di Lucifero



Trama:


un anonimo investigatore dilettante decide di indagare su una misteriosa serie di delitti avvenuti dieci anni prima nella città di Torino, la sua idea è quella di scrivere un libro sulla vicenda. Fin qui nulla di strano né per il lettore né per l’investigatore, ma c’è un dettaglio tra l’inquietante e il sorprendente a far da sfondo all’indagine: una strana e inspiegabile insonnia di massa, iniziata il 3 luglio, e durata venti notti.

Per venti giornate, Torino cade nel limbo della veglia e del sangue. E poi tutto cessa, improvvisamente e senza nessuna spiegazione, così com’era iniziato.

C’erano state non poche vittime nel frattempo, uomini e donne, diversi fra loro, per estrazione e mansioni, ma si trattava di omicidi senza movente, assurdi.

Tutti i corpi erano stati fatti a brandelli da una identica forza sovrumana, scaraventati contro muri e monumenti. Senza pietà, senza logica e senza nessuna vera pista da seguire, sicché la polizia archiviò presto l’inchiesta. Meglio non farsi domande.

Eppure in quelle venti giornate più di un cittadino coglie, in ogni angolo del centro storico, strani rumori, voci e urla dal suono profondo e cavernoso, impossibile spiegare il fenomeno, poiché tutto appare immobile e immutato, a parte qualche… monumento.

I monumenti sembrano impercettibilmente diversi, sembrano assumere posizioni nuove, si muovono.

Ma si sa, l’occhio può ingannare o vacillare se si fissa troppo a lungo un dato oggetto, e Torino è la città delle statue, la città delle piazze al centro delle quali spiccano monumenti regali ed eterni, la città che conserva la cosiddetta “Porta dell’Inferno”, Piazza Statuto.

L’investigatore – protagonista senza nome del romanzo di De Maria – a differenza della polizia, comincia a fare qualche domanda in giro, dapprima ai parenti ancora in vita di qualche vittima, poi al sindaco, sino a giungere alla scoperta di una piccola biblioteca che era stata aperta proprio nel periodo delle voci, dell’insonnia e degli omicidi, presso La Casa della Divina

Provvidenza. La cosa sorprendente di questa biblioteca sono i testi: non libri, ma “diari” privati dei cittadini stessi; una trovata narrativa inventata da giovani studenti della città: ognuno poteva dire la sua, raccontarsi, scrivere di proprio pugno un pensiero, un segreto, un aneddoto imbarazzante e metterlo (morbosamente) a disposizione degli altri.


All’investigatore non servirà a molto, ma ciò che sorprende oggi è la chiaroveggenza di un sistema che ormai fa parte delle nostre vite e ne scandisce la quotidianità e l’informazione e, in questo senso, quello della biblioteca di De Maria non è che l’antenato cartaceo di Facebook.


L’autore:


Una vita, quella di De Maria, nato nel 1924 a Torino, apparentemente destinata all’oblio dopo la morte per pazzia e consunzione.

Una vita fatta di genio e sregolatezza, di anni di concerti per piano interrotti da una bizzarra malattia alle mani, di impieghi dirigenziali prima alla FIAT e poi alla RAI, di amicizie importanti (Umberto Eco, Italo Calvino, Elémire Zolla), di critica teatrale, di scrittura a ritmi serrati, d’insegnamento in istituti di periferia, di anticlericalismo spinto all’eccesso e poi rimpiazzato dal fanatismo religioso, di stati psicotici alimentati dall’alcol e dal ricorso smodato all’Halcion.


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